lunedì 28 maggio 2012

La sala da tè dell'orso malese


David Rubín, La sala da tè dell'orso malese, Tunuè, Latina, 2009.
Edizione originale spagnola: La tetería del oso malayo, Astiberri Ediciones, 2006.


Come vi dicevo, un paio di settimane fa leggevo Stefano Benni: anche se fra le sue opere la mia preferita rimane La compagnia dei celestini, si tratta di un autore che in genere dà il meglio di sè nei racconti brevi, nei vari Bar sotto il mare, Bar Sport, etc.
Per pura coincidenza, nello stesso periodo mi è capitata sul comodino La sala da tè dell'orso malese. In realtà quando l'ho acquistato non avevo capito che si trattasse di una raccolta, nonostante il fatto fosse accennato in quarta di copertina: la scelta del confronto è stata quindi del tutto inconsapevole.
O meglio: ho scelto questo fumetto consapevole solo dei tanti premi che aveva vinto, e perchè incuriosita da un'opera che vedevo girare già da un paio d'anni.

Come Benni nei suoi numerosi Bar xxxx, Rubín racconta le storie singole degli avventori di un bar: in questo caso, la sala da tè gestita dall'orso malese Sigfrido.
Il fumetto è ben disegnato, con un tratto sintetico e molto espressivo. È ambientato in una città di medie dimensioni non meglio identificata, in cui convivono esseri umani e animali antropomorfizzati. L'ambientazione è comunque minima, tutto si gioca sui gesti - enfatizzati dalle linee di movimento - e sulle espressioni dei personaggi: un segnale evidente di come l'autore provenga dal mondo dell'animazione.

Purtroppo, devo rivelarvi subito che i racconti di Rubín non reggono il confronto con Benni.
Nel fumetto di Rubín la sala da tè viene definita, sin dalle prime pagine e dalla quarta di copertina, un "consultorio psico-animico": un'affermazione ambiziosa... alle cui aspettative era effettivamente impossibile tener testa. Le storie narrate risultano infatti abbastanza banali: certo, c'è il supereroe cieco e quello che vola, c'è Medusa che pietrifica gli uomini con lo sguardo. Ma i fatti sono tutti trattati allo stesso modo, secondo meccaniche terribilmente realistiche, tragiche e, soprattutto, ripetitive. I clienti hanno quasi tutti problemi con il gentil sesso (sì, sono tutti maschi); l'orso malese, dall'alto della sua saggezza di oste che ha sofferto, dà un blando consiglio o interviene in maniera marginale, e i personaggi agiscono poi secondo i cliché del caso.

Una delle illuminanti consulenze dell'orso Sigfrido, p.65

Ad aggravare il tutto, c'è il fatto che quasi sempre i personaggi che riescono a riscattarsi sono raffigurati come esseri umani (fa eccezione il gatto della prima storia, dove forse lo schema non era ancora ben definito); quelli che invece si lasciano trascinare dalla malinconia e dagli istinti distruttivi sono animali. Il più umano di tutti è il disegnatore, che alla fine dei racconti, nella seconda cornice narrativa, si mostra in tutta la trasparenza (ossa e articolazioni!) di chi ha rivelato la propria anima.
Insomma, qui manca lo spunto originale.

La pagina finale del fumetto, p.189

Non che l'originalità sia fondamentale per un'opera letteraria; ma se questa manca, si richiedono almeno riflessioni profonde, e verità rivelate. E abbiamo visto il tenore delle affermazioni di Sigfrido.
O forse lo spunto originale c'era, e in alcuni dei racconti si scorge, ma è stato soffocato dalla ripetitività, dalla serialità che l'autore si è imposto per la pubblicazione sul periodico spagnolo «Dos Veces Breves», per cui ha disegnato cinque di queste storie in tre anni (2002-2005). 
Forse, letti uno per volta a distanza di tempo, come erano stati concepiti, questi racconti grafici avrebbero fatto un'impressione migliore. Purtroppo temo che per l'edizione italiana la raccolta sia stata una scelta obbligata, soprattutto considerato il fatto che non esistono riviste che pubblichino storie brevi straniere - se non «Internazionale», che però si limita al graphic journalism e anche lì, solo due pagine per volta. I racconti hanno così evidenziato il loro punto debole, lo scarso approfondimento dei personaggi e la ripetitività; ma Rubín sembra un buon narratore per immagini, e probabilmente possiamo aspettarci di meglio. Lo si intuisce dalle soluzioni grafiche dal terzo racconto, Anton in fiamme, che non a caso era finora inedito. O anche dalle riflessioni nell'ottavo, Le cose che finiscono per rompersi, anch'esso inedito e di molto più lungo di tutti gli altri.

Anton in fiamme, p.46

Una curiosità: su Ibs, su Amazon, su Google books vi sarà impossibile trovare questo titolo. Perchè, per errore di comunicazione o per assonanza con il noto marinaio, Sigfrido è diventato un "orso maltese"... ma a Malta ci sono gli orsi? (e in Malesia?)


Nessun commento:

Posta un commento