lunedì 14 maggio 2012

Perché ho ucciso Pierre


Olivier Ka, Alfred, Perché ho ucciso Pierre, Tunuè, Latina, 2009.
Edizione originale francese: Pourquoi j'ai tué Pierre, Delcourt, 2006.


Dopo Habibi e Nocturno, di Tony Sandoval, avevo voglia di leggere qualcosa di divertente.

Così lunedì sono andata in fumetteria: Rat-man non era ancora uscito, e ho cominciato a guardarmi intorno. Nel vuoto. Perchè in Italia si pubblicano così pochi fumetti divertenti? Tutte le graphic novel sono su argomenti terribilmente seri. Ok, far ridere per un volume intero può essere difficile, ma sono sicura che si possa fare, come accade per i romanzi. Qualcuno dovrebbe scriverci un libro - o un post.
In ogni caso, ho spulciato negli scaffali, e mi è capitato in mano il fumetto di cui vedete la copertina. Circa un anno fa ne avevo già lette le prime 20-30 pagine (in piedi davanti allo scaffale), e mi era sembrato promettente. Poi, bei colori accesi, disegni simpatici e protagonista con nasone, l'ennesimo volume della Tunuè mi ha convinto. Lo so, avrei dovuto considerare anche il titolo; ma io sono erroneamente convinta che, se in un titolo si parla di morti, allora l'argomento dev'essere divertente. Un po' come con gli zombie, no?




Inoltre, non avevo considerato il postulato secondo il quale, se in un romanzo/autobiografia/fumetto c'è in mezzo una famiglia di hippie, qualcosa va irrimediabilmente storto e segna per sempre la vita del protagonista.
Infatti l'argomento del fumetto, autobiografico, è la pedofilia. In particolare, un episodio accaduto al dodicenne Olivier durante un campo estivo con Pierre, un prete allegro e bonaccione ("di sinistra", p.19), amico di famiglia.
La realizzazione tecnica del fumetto è impeccabile: i disegni di Alfred, semplici e colorati vivacemente da Henri Meunier, rendono bene la visione del bambino e la linearità degli eventi, che si susseguono scorrevoli e inevitabili, senza la ricerca di cause ed effetti complessi. Nel racconto si avverte la realtà della vita quotidiana, che a un certo punto non può proprio fare a meno di emergere: da p.95 a p.98 i disegni vengono sostituiti da fotografie. Si tratta della sequenza nella quale Olivier Ka e Alfred vanno sul luogo della colonia estiva, e scoprono che Pierre è ancora lì, vivo e lucido, nonostante siano passati più di venti anni. Nelle pagine seguenti, durante il confronto fra Ka e Pierre, i disegni tornano, ma inquadrano paesaggi sfocati. Si tratta di un passaggio psicologico molto delicato, per cui la rappresentazione semplice usata in precedenza non è più adatta. Una scelta probabilmente saggia.



  Però. Nel fumetto non c'è pathos. Ovviamente, non speravo di immedesimarmi (e non lo auguro a nessuno), ma da quando il tema diventa evidente, diviene altrettanto chiaro che il libro è solo uno sfogo. Un racconto, con censure e tagli inevitabili, di quello che è successo a Ka. La semplicità appare forse eccessiva, le cause e gli effetti sembrano tagliati con l'accetta per incastrarsi perfettamente. In realtà, dai racconti collaterali si capisce che l'intera vita del protagonista è stata instabile e priva di punti di riferimento; arrivato a 29 anni e ad avere una propria famiglia e relativa stabilità, Ka subisce un crollo, e trova la causa nell'episodio di quell'estate - e di quell'episodio, la causa la attribuisce alla religione cattolica.
Sono argomenti molto, molto delicati; trattati quasi di sfuggita, in poche vignette.

L'impressione, come già accennato, è che il libro non sia affatto rivolto ai lettori, ma sia uno sfogo personale, terapeutico. Legittimo, ma con poca utilità/attrattiva per i lettori (o almeno per me, in questo periodo).




Per quanto riguarda invece i libri divertenti, sto leggendo Bar Sport di Stefano Benni, ché ha sempre delle belle immagini, anche se fatte con le lettere.




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