lunedì 16 luglio 2012

L'ultimo grande viaggio di Olivier Duveau


Jali, L'ultimo grande viaggio di Olivier Duveau, Logos, Modena, 2012.
Edizione originale spagnola: El ultimo gran viaje de Olivier Duveau, Astiberri Ediciones, 2009.


Ho scelto questo libro perchè è bello. Ha un aspetto pasciuto e sostanzioso: la copertina, come vedete sopra, è interamente riempita dal titolo del fumetto, ed è bella ruvida e corposa. Anche le pagine sono spesse e ruvidine: girarle dà una certa soddisfazione. E poi, premettendo che io di solito non sono una sniffatrice di libri, ha un sorprendente odore di carta che lo fa sembrare proprio irresistibile. Brava Logos, che mi curi anche gli aspetti materiali - d'altronde, sarà l'unica strada per sopravvivere al digitale.

La storia viene definita "un graphic novel" (io preferisco decisamente il femminile): in realtà, il tono è quello di una fiaba. Una fiaba di quelle antiche o vecchie, alla Andersen, dove una certa dose di crudeltà condisce le imprese dell'eroe di turno. 

Di personaggi brutti e cattivi in questa storia ce ne sono in abbondanza: alla faccia del politically correct, fortunatamente le fiabe non richiedono approfondimento psicologico, e una persona può essere cattiva e basta, senza lati buoni o traumi infantili da valutare. Il protagonista Olivier Duveau vive un'esistenza triste sin dalla prima infanzia, segregato in una stupenda magione e affidato alle cure strettissime di centinaia di maggiordomi e domestiche: i genitori preferiscono viaggiare per il mondo, per finire presto schiantati contro una montagna. Duveau, appena maggiorenne, caccia l'intero personale e si dedica alla realizzazione del proprio sogno: raggiungere le stelle. Con una strumentazione vagamente steampunk ci riuscirà, fino a scoprire un universo che è l'esatto contrario del nostro, dove potrà anche incontrare l'amore. E la morte.

Il libro contiene anche una sorta di bonus track, di cui non si fa cenno nei risvolti di copertina: la storia del Bambino più forte del Mondo, che ricorda molto la fiaba di Pollicino e simili. Qui la dose di crudeltà del racconto è espressa da un episodio di schiavitù (un bambino costretto per sempre a spremere arance per fare la spremuta) e da una serie di uccisioni cruente. Il meglio dei fratelli Grimm.



Per quanto riguarda la realizzazione grafica, gran parte della narrazione è affidata ai disegni: didascalie e fumetti sono davvero rari. Il tratto di Jali è inoltre molto caricaturale: gli adulti sono dotati di occhietti estremamente piccoli e spesso occhialuti, quasi una metafora di quanto poco lontano possano vedere. Purtroppo, molti dettagli non si scorgono bene, perchè la Logos ha deciso di riprodurre il fumetto in scala di grigi, anzichè nei toni seppia dell'originale. Il risultato è che la leggibilità è ridotta, e che si rimane alquanto irritati, dato che si intuisce benissimo che i colori originali dovevano essere diversi. Ma perchè Logos, dopo tutta la cura riposta nella copertina e nella qualità della carta? 

Immagine in toni seppia dal blog di Jali


Comunque, rimangono interessanti e ben visibili diversi rimandi all'animazione: nelle vignette vengono spesso rappresentati in contemporanea più stati di un'azione veloce (ad esempio, lo spostamento degli occhi da sinistra a destra). Inoltre, a ridurre i già scarsi dialoghi, i discorsi non fondamentali alla comprensione sono tagliati via. Uno stratagemma che mi ha ricordato la maestra dei Peanuts nei cartoni animati, quando si esprimeva in un borbottio incomprensibile: discorsi poco importanti, meglio concentrarsi sull'espressione di Duveau mentre tenta di presentare agli scienziati il suo progetto di razzo.


Assolutamente spettacolare e di pura grafica è poi il passaggio dal mondo normale a quello alla rovescia: dopo una lunga serie di tavole ambientate nello spazio, quindi con uno sfondo a prevalenza nero con stelle bianche, girando pagina si passa in un cielo bianco a stelle nere. Un colpo da lasciare senza fiato, nel pieno stupore del mondo alla rovescia.


Un'ultima annotazione: se Olivier Duveau parte per le stelle, le lettere della copertina ricordano invece dei rovi, o comunque delle piante. Forse per ricordare che nel mondo esistono esseri che dalla terra non possono allontanarsi in nessun modo, neanche volendolo con tutti se stessi.

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